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Il vero prodotto sei tu: Come la pubblicità usa le tue emozioni
Una bambina, una pesca, e due genitori che non vivono più insieme. Bastano questi pochi elementi per rievocare una delle pubblicità più discusse e commoventi degli ultimi anni, quella di un notissimo supermercato. Una scena semplice, quasi sussurrata, che ha toccato il cuore di milioni di persone trasformandosi in un vero e proprio caso mediatico.
Eppure, fermiamoci un attimo a riflettere: quanti di noi ricordano il prezzo di quelle pesche o le offerte della settimana? Probabilmente nessuno. Tutti, però, ricordiamo perfettamente l'emozione provata, la stretta al cuore. In quel momento, il supermercato non ci stava vendendo frutta, ma un pezzo di storia universale – l'amore filiale, la nostalgia, la speranza – un sentimento struggente in cui era fin troppo facile immedesimarsi.
Questo ci porta a una domanda fondamentale, quasi scomoda: come riescono i brand a trasformare un oggetto di uso quotidiano in un simbolo così potente? E perché le nostre emozioni sono diventate il vero, e forse unico, campo di battaglia delle loro campagne pubblicitarie?
Prima la storia, poi il prodotto
La prima, potentissima tecnica è quella di trasformare uno spot in un "mini-film". La pubblicità moderna ha capito che il nostro cervello è biologicamente programmato per ascoltare storie, non per elaborare elenchi di caratteristiche di un prodotto. Una narrazione ben costruita bypassa le nostre difese razionali e ci parla a un livello più profondo, istintivo. Crea dei personaggi con cui entriamo in empatia e utilizza la suspense per tenerci incollati allo schermo. Pensiamo proprio al caso del notissimo supermercato: il colpo di genio sta nel ritardare la rivelazione del marchio. Veniamo prima catturati dalla trama, investiamo emotivamente nel destino della bambina, e solo quando siamo completamente vulnerabili, il brand appare, assorbendo tutta la carica emotiva che si è accumulata. Non compriamo più un prodotto, ma il finale di una storia che ci ha commosso. Tuttavia, se analizziamo il meccanismo sottostante, ci rendiamo conto che l'intera "storia che ci ha commosso" non era affatto un racconto spontaneo, bensì un laboratorio attentamente orchestrato in cui i suoni e i colori sono stati impiegati come strumenti di precisione, capaci di fabbricare proprio quella vulnerabilità emotiva riscontrata nell'esempio del notissimo supermercato.
L'orchestra invisibile di suoni e colori
Ogni storia, però, ha bisogno della sua colonna sonora e della sua scenografia. Qui entra in gioco la seconda, invisibile tecnica: l'orchestra dei sensi. Ogni elemento che vediamo e sentiamo in una pubblicità è scelto scientificamente, spesso attraverso studi di neuromarketing, per evocare una precisa emozione a livello inconscio. Un pianoforte lento e malinconico, che ci predispone alla riflessione e alla nostalgia, non è affatto casuale in un contesto commerciale: è una calcolata strumentazione sensoriale il cui vero scopo non è solo evocare una vulnerabilità emotiva, ma alterare il nostro comportamento d'acquisto, incoraggiandoci a rallentare i passi, prolungare la permanenza e, di conseguenza, ad aumentare la spesa media. Allo stesso modo, i colori parlano direttamente alla nostra pancia: i toni caldi e avvolgenti, come l'arancione o il marrone, ci comunicano familiarità, casa e tradizione; i colori freddi, come il blu o l'argento, ci suggeriscono modernità, tecnologia e fiducia. Non sono scelte casuali, ma pennellate precise su una tela emotiva di cui noi siamo, inconsapevolmente, il centro.
Come abbiamo visto, la pubblicità più efficace non parla al nostro portafoglio, ma direttamente al nostro cuore. Ci vende frammenti di storie, ricordi e sensazioni, legandoli in modo indissolubile e quasi permanente a un logo o a un prodotto.
E ora, tocca a te fare la mossa successiva.
Ripensa a quella pubblicità che ti ha lasciato un segno emotivo. Cosa ricordi di più? La trama (la storia, i personaggi, il dialogo) o l'orchestra sensoriale (i suoni, i colori, la musica di sottofondo)?
Lascia un commento qui sotto e dimmi se la tua emozione è nata dal "cosa" è stato raccontato o dal "come" è stata stimolata. Sono curioso di scoprire se il filo del racconto o la tela dei sensi ha avuto la meglio sul tuo ricordo!
N.B. L'immagine di questo articolo è generata da Gemini
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